Oggi non ci stupisce più la notizia di un robot spazzino che si muove autonomamente sulla strada ed esegue funzioni pratiche di pubblica utilità interagendo con le persone. Ma era davvero un’idea avveniristica 15 anni fa quando il Professor Paolo Dario, Direttore dell’Istituto di BioRobotica del S.Anna di Pontedera (Pisa), ci coinvolse nel progetto DustCart.
All’epoca la sostenibilità ambientale e l’economia circolare erano approcci ancora poco diffusi nell’industria della trasformazione delle materie plastiche, per questo decidemmo di sostenere l’ambizioso sforzo della Scuola Superiore S. Anna per promuovere l’innovazione e la sostenibilità nel settore della gestione dei rifiuti.
Dopo questa importante esperienza ai massimi livelli della ricerca sperimentale possiamo dare una risposta sicura e promettente alla domanda nel titolo: Sì, le materie plastiche da post consumo possono essere impiegate nella produzione di componenti ad alta tecnologia.
DustCart. Il Robot Spazzino in PET riciclato che ha girato il mondo
DustBot è il nome della piattaforma tecnologica sviluppata dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore S. Anna per l’ottimizzazione della gestione dei rifiuti e il miglioramento dell’igiene ambientale attraverso l’impiego di una rete di piccoli robot autonomi e cooperanti.
Un progetto così innovativo e ambizioso (per l’epoca, ormai 15 anni fa) che ha girato il mondo arrivando fino al Giappone, passando per l’America dopo avere girato tutta l’Europa.
Il progetto europeo coordinato dalla Scuola Superiore Sant’Anna prevedeva che i robot fossero in grado di operare in ambienti urbani come piazze, strade, vicoli, parchi allo scopo di pulirli da rifiuti e sporcizia e monitorare l’aria per l’analisi di inquinanti atmosferici.
L’idea di una macchina completamente automatizzata, in grado di andare a casa dei cittadini, orientarsi su percorsi urbani, raccogliere la spazzatura differenziata e portarla in discarica era già all’avanguardia per l’epoca. Il vero punto di svolta in ottica di sostenibilità e circolarità fu che il robot stesso fosse fatto di rifiuti riciclati: PET da post-consumo.
La scommessa era: se esiste addirittura un robot di plastica riciclata, allora fare uno scooter, un elettrodomestico o qualsiasi altra cosa dovrà per forza essere molto più semplice. È questo il messaggio di cambiamento e responsabilità ambientale lanciato dal robottino raccogli-immondizia DustCart.
Robot on demand
Lo spazzino elettronico DustCart è alto 1,50 mt, largo 77 cm, si muove su due ruote per mezzo di un motore elettrico, ha un’autonomia di 24 Kme può raggiungere la velocità di 16 Km/h. Spostamenti e navigazione sono gestiti da un sistema satellitare Gps aiutato da un sistema secondario di boe che funziona tramite ultrasuoni. Risultato: arriva nella posizione desiderata con uno scarto dell’ordine dei centimetri. Attraverso l’uso di laser sulle ruote è anche in grado di individuare ed evitare gli ostacoli presenti sul proprio percorso.
Qualcuno lo ha paragonato al primo vero tentativo funzionante di robot spazzino come Wall-e, il personaggio protagonista di un film d’animazione Disney. Certo, DustCart non si innamora ma di lui si sono innamorati ricercatori e pubblico.
Tutto nasce con il progetto Europeo DustBot (Dustbot-Networked and Cooperating Robots for Urban Hygiene) del 2006 coordinato da Paolo Dario, direttore del polo Sant’Anna Valdera di Pontedera (Pisa) che ottiene dall’Unione Europea un primo finanziamento di 3 milioni e diventa capofila del progetto. La ricerca si concentra subito sulla creazione di una macchina che possa usare mappe precaricate, ricevere le coordinate topografiche su dove recarsi, raccogliere le buste della spazzatura e portarle in discarica. E nasce DustCart. Funziona a chiamata, come un taxi: il cittadino indica con una telefonata alla centralina che gestisce il servizio il momento in cui scenderà in strada per la consegna della spazzatura, il robot arriva all’orario concordato, raccoglie la busta e prosegue il suo percorso di pulizia.